La sicurezza è una condizione di vita, per questa ragione la decliniamo in termini di sicurezza in casa, fuori di casa e sui luoghi di lavoro.
Viste le ovvie sensibilità, il tema è facilmente piegabile a fini puramente elettorali. Noi non lo faremo.
In questo intervento affronto uno dei aspetti della sicurezza, quello delle così dette “baby gang”, cioè dei gruppi di giovani associati a episodi di violenza, a scontri tra gruppi e a singole aggressioni avvenuti di recente nel territorio di Casalecchio, in particolare a San Biagio e nei centri commerciali del Gran Reno e della Meridiana.
Una premessa è d’obbligo. Purtroppo non c’è nulla di peggio e di più irreversibile di una parola chiave di successo anche se sbagliata. Questo è il caso di “baby gang”. Una definizione che ha “bucato” giornalisticamente e che viene ormai associata a qualsiasi fenomeno che veda coinvolti gruppi di giovani e di giovanissimi in qualsiasi forma di comportamento ritenuto socialmente non accettabile.
Purtroppo il termine “gang” e quindi “banda” ha necessariamente un connotato negativo e illegale, così come ci viene trasmesso dalla storia di tanti altri paesi. Non possiamo pensare che il fenomeno del disagio giovanile sia affrontabile solo in termini giornalisti definendolo “baby gang” e nemmeno credere che sia sufficiente una risposta repressiva tipo “lotta alle gang criminali” per contrastare il fenomeno. Anzi tra repressione e allarmismo (che sfocia a volta nella psicosi) si genera una sinergia che rischia di ottenere esattamente l’effetto opposto … cioè quello di spingere gruppi di giovanissimi a radicalizzarsi nell’idea della “gang”.
Il tema va trattato, come tutti, su base razionale. Il fenomeno non è nuovo, nemmeno in Italia. La Regione Emilia Romagna ha stabilito una task force che sta seguendo da parecchio tempo queste vicende a partire da episodi che si sono svolti sulla riviera romagnola. Mi riferisco ai Quaderni di città sicure – lo studio promosso dalla Presidenza della RER sulle bande giovanili di strada. Studio curato dalla criminologa Rossella Selmini,Professoressa Associata di Criminologia e Sociologia della devianza e del mutamento sociale e da Stefania Crocitti Ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Bologna. L’ultimo rapporto è stato pubblicato pochi giorni fa.
I dati dimostrano che il tema delle aggregazioni giovanili è ancora, grazie al cielo, ben lungi dall’essere un’emergenza nel nostro territorio. Certo non dobbiamo aspettare che lo diventi. Non solo questo, il confronto europeo pone l’Italia (e la Spagna) a livelli lontanissimi da quelli di Francia e della maggior parte dei paesi europei. Non dobbiamo però, per questo, essere meno attivi nel monitoraggio e nell’azione positiva partendo dal riconoscimento delle motivazioni di fondo: necessità di identificazione e di riconoscimento reciproco, di emersione dall’anonimato in una società, in cui pure molte e molti di loro sono nate/i, ma che viene percepita come estranea quando non ostile.
Per i centri commerciali, come per la riviera romagnola, si parla di gruppi “fluidi” che si aggregano mediante social e non localizzabili. Molti si identificano più per l’appartenenza etnica che non sulla base del luogo di residenza. Il risultato è, come appare dai Quaderni, che la maggior parte degli episodi violenti è associata a scontri tra gruppi connotati etnicamente oppure ad aggressioni singole a coetanei, in genere per furto. Il coinvolgimento dei giovanissimi, seppure in crescita, è ben lontano dalle percentuali osservate in altri paesi.
C’è comunque una differenza sostanziale tra gli eventi legati al quartiere San Biagio e quelli che hanno coinvolto i complessi di Meridiana e Gran Reno. In particolare quelli del quartiere San Biagio sono più legati ad un fenomeno stanziale, cioè di minori che hanno famiglie che risiedono nel quartiere, mentre nei due centri commerciali parliamo di centinaia o migliaia di giovani che si danno appuntamenti in quelli che i sociologi chiamano “non luoghi” per incontrarsi e vivere quei posti con modalità tipiche di quell’età e quindi, non sempre, socialmente accettate.
A San Biagio sono necessari interventi che partano dai punti di aggregazione, che facciano proposte e diano risposte, oltre a prevenire i fenomeni di microcriminalità, con la collaborazione di educatori di strada investendo anche in strutture aggregative che occorre avviare o potenziare in un progetto inclusivo che veda in veste di interlocutori anche la scuola, la parrocchia e che coinvolga le famiglie.
Purtroppo è difficile districarsi nella “narrazione” delle “baby gang”. L’allarme sociale è molto alto rispetto alla realtà dei dati. Se si affronta il tema sicurezza solo sul versante repressivo, si rischia di generare una sinergia negativa tra repressione e rappresentazione del fenomeno.
In altre parole bisogna “fare ma non strafare”. L’esperienza di altri paesi dimostra che laddove è stata intensificata la repressione si è ottenuto l’effetto contrario – la cosa importante è essere efficaci.
Insieme alle forze dell’ordine e con il contributo dei gestori dei Centri, devono essere avviate azioni di prevenzione di atti delittuosi o di spaccio, investendo al contempo su operatori di strada che percepiscano e diano un senso a queste aggregazioni di giovani evitando che siano marginalizzate e quindi cresca la possibilità che diventino preda della piccola micro criminalità, di bullismo e spaccio. Integrazione non può essere assorbimento e annullamento della identità.
E comunque a ognuno il suo. Sono contrario all’idea del sindaco-sceriffo mentre sono per il coordinamento di tutti i soggetti – insegnanti, Polizia Locale, Polizia di Stato, volontari, educatori di strada adeguatamente formati – che possono incidere positivamente sul clima generale. Non meno importante è agire sulle famiglie dei giovani e delle giovani. Le famiglie sono spesso impreparate a seguire i figli, sia per formazione sia perché impegnate con il lavoro senza poter contare sul supporto di altri famigliari.
Insomma, il tema delle aggregazioni giovanili, e della loro evoluzione (o meglio involuzione) verso forme di illegalità, o facilmente orientabili alla violenza e al crimine (si pensi allo spaccio) richiede un’azione sinergica di forze e di competenze, richiede “intelligence” dedicata alla prevenzione, richiede azioni calibrate. Alla governance della città di Casalecchio compete questa azione di coordinamento.